Il Rifugio Boccalatte è un nido d’aquila. Costruito su una protuberanza rocciosa in bilico sulla Val Ferret, dal basso se guardi in alto e sai dove guardare lo vedi: di notte, un puntino di luce sospeso in mezzo al nero, che ti devi immaginare la montagna per non confonderlo con una stella; di giorno, se stai salendo lungo il sentiero numero 21, oltrepassato il bosco ce l’hai davanti agli occhi quasi ininterrottamente per le successive due ore e mezza. Una presenza rassicurante e al tempo stesso una beffa. Più ti ci avvicini e più sembra sfuggirti. E allora sarebbe meglio non guardare in su, ma come si fa a resistere al magnetismo delle Grandes Jorasses e di quel puntino che in fondo è solo un puntino ma è un pezzo di storia?
Il Rifugio Boccalatte è aggrappato al granito che sembra quasi aver preso forma dall’orogenesi alpina. Quando ci arrivi, finalmente, dopo oltre tre ore di salita ininterrotta e magnifica e riprendi fiato, ti chiedi “come”. Ti immagini la salita che hai appena fatto, ma con pietre e assi di legno al posto dello zaino; te li immagini quegli uomini, nel bianco e nero ingiallito nelle foto dell’epoca, sospesi nel vuoto a dar forma ad un avamposto per l’esplorazione dei millequattrocento metri di montagna che li sovrastano. Come avranno fatto. Poco importa, ormai, perché da oltre 130 anni il Rifugio Boccalatte se ne sta lì, a veder passare la storia dell’alpinismo e i comuni mortali. Il Rifugio Boccalatte è un nido con la sua aquila, è un avamposto con il suo guardiano. Quando finalmente ci arrivi, ad accoglierti ci trovi un pezzo di quella storia. Il mitico Franco, aggrappato al suo ideale di montagna e di vita come il rifugio che gestisce si aggrappa al granito. Per noi è il “gran cerimoniere”, lui ne conosce il motivo. Ma per il mondo è Franco Perlotto e tutti sanno perché. Mi siedo sulla panca della balconata di legno affacciata sui seracchi del ghiacciaio di Planpincieux; il ghiaccio di tanto in tanto sussurra, poi mormora, scricchiola e infine qualche blocco si stacca, scomparendo nelle profondità con un tonfo sordo che echeggia nell’anfiteatro roccioso. Sperimento la vitalità di un sistema apparentemente inanimato. Il ghiacciaio vive, e di certo ultimamente soffre. La sera arriva con un incalzare di nubi che promettono pioggia. Avverto il richiamo magnetico delle guglie che mi sovrastano e del ghiacciaio sibilante, un’attrazione che al tempo stesso mi spaventa, giacché forse risveglia archetipi sopiti. Dal Boccalatte emana la tranquillità e il conforto della sera in un rifugio di alta montagna. Non un rifugio qualunque, però. Agosto 2019
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