Per decidere di andare in Scozia in pieno inverno devi essere un po’ pazzo; e devi volerlo veramente. Non ti può saltare in mente così, pensando a come riempire le vacanze scelgo una meta a caso e vado in Scozia. Per di più nelle Highlands. Lo devi volere. Non si va oltre manica per il tempo, men che meno lassù, tra il 56° e il 59° parallelo. In inverno poi. O forse è meglio dire che se scegli di andare in Scozia è per quello che il tempo fa mescolato con la terra, il mare, il cibo, la gente, la birra e il whisky. Perché se ci fosse sempre il sole la Scozia sarebbe una donna bellissima, punto. Mentre quel tempo fatto di nuvole e vento, pioggia e poi sole e di nuovo pioggia e nuvole, nuvole e sole, fa della Scozia una donna bellissima ed enigmatica. Un mistero da attraversare. Un mistero che d’inverno diventa ancor più fugace, perché il giorno inizia alle 9 di mattina ed finisce alle 3 e mezza del pomeriggio. E così in Scozia ci andiamo il 30 dicembre, due giorni a Edimburgo e poi via, una macchina, una guida, una mappa già usata otto anni fa e su su fino a che terra non ce n’è più e comincia l’Oceano Atlantico e si intravedono le Orcadi. Due giorni a Edimburgo, che nonostante l’affollamento per l’imminente Hogmanay (il capodanno scozzese) rimane una degna porta d’ingresso al fascino della Scozia rurale. La donna bellissima e misteriosa è ovunque nelle vie dell’Old Town, tra la severa presenza dell’Arthur’s Seat e il promontorio roccioso che culmina con il castello. La si percepisce nel vento che soffia gelido lungo il Royal Mile e tra le case di sasso alte e strette che sembrano uscite da un libro illustrato per bambini; nel suono struggente della cornamusa all’angolo della St Giles Cathedral o nel minuscolo pub pieno di birra e folk sessions con un attempato barista che per capodanno ha pensato bene di sfoggiare minigonna in tartan, calze a rete e gilet di pelle nera. Pure nelle maniche corte e nelle gambe senza calze della gioventù locale, che percepisce tutt’altra temperatura di noi che la combinata piumino/antivento quasi non basta. Questa è la vecchia, cara Edimburgo. Poi si parte, quando tutto dorme nella sbornia di alcol e freddo del dopo Hogmanay, un sottile strato di brina sul finestrino della macchina a testimoniare che il piumino ci sta, eccome. Lasciamo Edimburgo direzione nord. Passiamo Perth e ci addentriamo nelle Cairngorms e nei pochi centimetri di neve che ricoprono tutto, solo la strada è un nastro scuro e pulito. Sorpassiamo anche Inverness e su, inesorabilmente, finché lasciamo la principale A9, che sale lungo la costa orientale, per imboccare la minuscola A836, scorciatoia che attraversa le Highlands nel loro cuore fatto di brughiere sconfinate, tagliando a metà quel pezzo di terra selvaggia che sale verso il 59°. Tongue alle quattro e mezza del pomeriggio è un grappolo di lucette sospese nella notte nera. La nostra bianca e accogliente Rhian Guest House è un acino staccato dal grappolo, un po’ più in là nel buio. Per la cena ci dobbiamo spostare sull’altro lato dell’insenatura, di cui sappiamo l’esistenza perché abbiamo una mappa, tanto è buio il buio che ci circonda. Al Craggan Hotel ci incastriamo in una mezza festa privata, tra fiumi di chiacchiere con varia umanità più o meno autoctona e altri fiumi di birra e whisky. A Tongue ci fermiamo due notti, il tempo di gironzolare nella costa settentrionale spingendoci fino a Dunnet Head, the most northerly point of mainland Britain: un promontorio di rocce nere a picco sull’Oceano, dove solo gli uccelli marini hanno voce in capitolo. Noi, a malapena ci reggiamo in piedi contro un vento che non ha pietà, neppure con la pioggia che ha smesso di cadere. Iniziamo la discesa a sud verso Ullapool, percorrendo la A838 in un continuo alternarsi di tratti costieri ed epiche virate nell’entroterra fatto di brughiere e montagne, di torba e rocce antiche. Le poche foreste di abeti sono cicatrici dell’uomo su una terra che non può sostenere il peso biologico di queste piante, che prosciugano le paludi torbose e in poco tempo si portano via tutto. Ullapool è una cittadina graziosa su Loch Broom, che come molti altri loch scozzesi è un’insenatura del mare e non un vero lago. Nella bianca fila di cottage che saluta coloro che arrivano a Ullapool via mare dalle Ebridi c’è il nostro grazioso Point Cottage b&b. Il vento continua imperterrito e potente e il cottage se lo prende tutto in faccia, senza pietà. La strada continua in un nuovo mattino di vento e nuvole mischiate a chiazze d’azzurro pallido, dentro e fuori come il giorno prima ed è impossibile tenere a mente tutte le volte che si rimane a bocca aperta. Verso Gruinard Bay il cielo si apre mostrandoci il primo vero sole di questo viaggio. Un sole basso che sembra pomeriggio, ma alle undici di mattina. La luce è calda e accecante e la baia diventa un tripudio di colori che sembrano quasi irreali, ma forse siamo solo noi a non esser più abituate ai toni accesi del mondo quand’è colpito dal sole. Pranziamo dentro la macchina che oscilla in balìa del vento, sotto un cielo nuovamente coperto, in un parcheggio affacciato sulle isole di Rona, Ronasay e, dietro, la maestosa Skye. Seguiamo la costa fino ad Applecross, dove la strada svolta decisa verso est e l’entroterra, salendo fino all’encomiabile altezza di 630 metri, che sembra quasi di trovarsi in un passo alpino. La discesa è ancor più spettacolare, attraverso una stretta valle ad U dove in fondo si scorge il mare. Arriviamo a Dornie e al suo fiabesco medievale Eilean Donan Castle, che ci ripaga dell’alloggio non particolarmente entusiasmante, fortunatamente l’unico di tutto il viaggio. Per la cena scendiamo al piccolo villaggio di Plockton, immerso in un buio quasi assoluto che a fatica riconosco i luoghi già percorsi anni prima. La cena è ottima al Plockton Inn: fish pie, chocolate cheese cake e l’immancabile ale. L’ultima tappa ci porta attraverso il grande Glen Shiel, poi affiancando il Ben Nevis fino all’imbocco di Glen Coe, l’affascinante valle teatro del secentesco, omonimo massacro. Attraversarla per la seconda volta ed avvertire lo stesso brivido di emozione mi conferma la magnetica attrazione che questa valle ha su di me. C’è ancora luce quando arriviamo a Luss, sulle rive di un Loch Lomond visibilmente ingrossato dalle forti piogge cadute nei giorni precedenti - quelle piogge che evitiamo fin dal nostro arrivo in terra scozzese. Alderdale è degna sistemazione per un piccolo villaggio incantevole come Luss e conferma che i britannici quando fanno sul serio sono eccezionali in fatto di gentilezza e ospitalità. E’ tempo di partire, nel buio della mattina che tarda ad arrivare. Nell’attesa della chiamata al gate, scorro rapidamente le fotografie scattate tra una raffica di vento e l’altra, tendendo i muscoli e concentrando la mente per non perdere l’attimo e farmi sbilanciare. Mi ha dato filo da torcere l’amata Scozia. Ma è pur sempre amata. La mappa del viaggio
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