Questa è una sera che ha il sapore delle rimembranze, dei ricordi offuscati di ciò che ero e delle visioni altrettanto vaghe di ciò che sarò.
Sfoglio virtualmente il mio archivio di immagini scattate in questi anni e ritrovo una delle prime foto che mi riempirono d'orgoglio, nonostante debba ammettere che fu molto più la mano del caso, che quella mia inesperta di fotografa ai primordi, a tirar fuori dalla piccola Eos D500 questo scatto. Eppure fu esattamente ciò che nella mia mente immaginai, guardando la ballerina di flamenco avvicinarsi al centro della scena. Siviglia, Teatro de La Cartuja, 1° luglio 2010, ore 21.47; nella luce di un tramonto ancora in corso sediamo nel prato in attesa dello spettacolo di flamenco all'aperto. Ho portato la mia macchina fotografica, con la quale sto iniziando i miei primi veri tentativi, dopo anni di corteggiamento fotografico - da parte della fotografia, s'intende. Una donna vestita di nero entra in scena, camminando lungo il muro scrostato dal tempo color sabbia; nella mia testa si fissa l'immagine di una forma sensuale che contrasta con lo sfondo. Prendo la macchina, trafficando velocemente con i comandi senza sapere esattamente cosa fare; guardo nel mirino, cerco di mettere a fuoco ma è tutto così veloce che se non scatto subito il momento scappa via. E così scatto. Ne esce un'immagine ovviamente sfuocata, che senza volerlo corrisponde all'idea che avevo di quell'istante. Ho sempre amato questa foto: per la sensualità, per la solitudine, per i colori, per il senso d'attesa che evoca. E per non essere a fuoco, come un istante che può ripetersi all'infinito.
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